mercoledì 29 giugno 2016

GW151226: il secondo evento

Come dicevo in un post precedente, la seconda rivelazione di onde gravitazionali è profondamente diversa dalla prima: per capire come mai, e per capire che tipo di conseguenze ha, conviene partire dalla prima figura dell'articolo che mostra il segnale GW151226 ed una serie di grafici esplicativi:
L'evento GW151226 così come è stato registrato all'osservatorio di Hanford (a sinistra) e a quello di Livingston ( a destra), Nella terza riga si osserva il rapporto SNR in funzione del ritardo tra dati e template; la seconda riga è l'integrale della seconda. Infine, nella quarta riga, gli spettrogrammi dei due segnali.
I grafici in cima rappresentano la forma del segnale ricevuto nei siti di Hanford e Livingston, sovrapposti ai segnali così come sono ricostruiti dagli algoritmi di ricerca. I grafici in basso rappresentano invece l'evoluzione della componente in frequenza in funzione del tempo. Come si nota, ad occhio nudo è praticamente impossibile riconoscere la presenza di un segnale, tranne che nel grafico in basso a sinistra, dove invece si intravade una traiettoria chiara rivolta verso l'alto che è la tipica impronta della coalescenza tra due oggetti massicci.
Eppure, già 70 secondi dopo l'evento il sistema di analisi on-line di Ligo aveva prodotto un primo allarme.
Come è stato possibile questo? La risposta è semplice, e sta nella parola correlazione. I fisici della Ligo-Virgo collaboration hanno da tempo predisposto una banca dati di templates, ovvero delle possibili forme che può assumere un segnale di onde gravitazionali. Questa banca dati deve essere sufficientemente dettagliata da permettere di riconoscere anche segnali non esattamente uguali a quelli presenti nel database, ma non eccessivamente dettagliata per evitare di rendere il processo di ricerca eccessivamente lento. A questo punto, i vari template vengono fatti scorrere sul segnale osservato, e per ogni posizione relativa viene calcolata la correlazione tra il template stesso ed i dati osservati. Se nei dati non è presente una colaescenza, o se è presente una coalescenza che non è descritta dal template preso in considerazione, o ancora se la coalescenza e il segnale non si sovrappongono perfettamente, il risultato della correlazione è un numero casuale; ma se invece nei dati è presente una coalescenza; se questa coalescenza somiglia al template preso in considerazione, allora nell'istante in cui template e coalescenza coincidono si ottiene un massimo della correlazione.
Il valore della correlazione, opportunamente normalizzato, è detto rapporto segnale /rumore, o SNR (signal to noise ratio). Il risultato di questo processo è visibile nella terza riga, a partire dall'alto: come si vede in corrispondenza dell'istante della coalescenza il rapporto segnale/rumore assume un valore estremamente alto. Nella seconda riga, la presenza della coalescenza è visibile come un gradino improvviso. In questo modo un segnale apparenemente invisibile viene fatto risaltare dall'algoritmo appropriato.
E' importante sottolineare come altri algoritmi, meno sensibili, ma con minori pregiudizi sulla forma d'onda attesa, non siano stati in grado di individuare il segnale
Ma il fatto che ad un certo istante il SNR assuma un valore particolarmente alto non significa per se che il segnale rivelato sia una coalescenza: è necessario innanzitutto che in entrambi i rivelatori il vedano il segnale in un intervallo di tempo inferiore a quello che la luce impiega a viaggiare da uno all'altro, ed è necessario verificare che la probabilità di ottenere valori alti per caso risulti estremamente bassa.
Per questo, i dati dei due interferometri vengono combinati tra di loro in modo da ottenere un valore unico del SNR: in particolare vengono adoperati due metodi, leggermente differenti, che si basano sull'uso della stessa banca di templates: in entrambi i casi il segnale viene osservato con un SNR di circa 13.
Per determinare la probabilità che la coincidenza tra i due rivelatori sia dovuta ad un fenomeno casuale, si procede come è stato fatto pr GW150914: ovvero si introduce un ritardo, grande, ma arbitrario, tra i dati dei due rivelatori, e si rianalizza tutto alla ricerca di coincidenze. In questo modo si determina che la significatività dell'evento è sicuramente maggiore di 5 s.
La distribuzione del fondo e dei delle coincidenze a ritardo nullo (punti arancioni) per ciascuno dei due algoritmi adoperati. La linea nera è ottenuta adoperando tutti i dati, tranni quelli relativi a GW150914; la linea viola è stata ottenuta escludendo anche GW151226.

A questo punto rimangono da determinare i parametri dell'evento, ovvero le masse e gli spin dei due buchi neri, e del buco nero finale, la distanza dell'evento e la sua collocazione nella volta celeste.
A questo scopo, i dati vengono nuovamente confrontati con un ulteriore database contenente una simulazione più dettagliata della coalescenza. Inoltre i dati vengono combinati tra di loro tenendo conto della possibile direzione di provenienza dell'onda e del diverso orientamento dei due rivelatori.
Come si diceva, l'evento è estremamente diverso da GW150914: infatti dura molto di più (circa 1 secondo) di cui però solamente gli ultimi 0,1 secondi appartengono alla coalescenza vera e propria, mentre la sua ampiezza è circa 10-22, più piccola del rumore tipico dell'interferometro: di conseguenza la fase di spiraleggiamento è ben conosciuta, mentre il "merging" dei due oggetti è meno definito: di conseguenza mentre la "massa di chirp" che domina la prima fase è ben conosciuta, il rapporto tra le masse, che dipende dai dettagli della coalescenza, è meno conosciuto: tuttavia la precisione è tale da consentire di escludere l'ipotesi che il più leggero degli oggetti coinvolti sia una stella di neutroni.
Nuovamente, si sente la mancanza della presenza di un terzo interferometro funzionante in grado di rivelare l'evento: infatti non solo la localizzazione del punto di provenienza è scarsa (circa 850 gradi quadrati), ma il fatto che i due interferometri che costituiscono LIGO siano pressocché allineati impedisce di ricostruire la polarizzazione del segnale, e di conseguenza l'inclinazione del piano dell'orbita e la distanza della sorgente.
Riassumendo, i due buchi neri originali sembrano avere una massa compresa tra 10 e 22 masse solari (il più massiccio), e tra 5 e 12 masse solari (il meno massiccio), mentre il buco nero finale ha una masa tra 19 e 27 masse solari; nel processo di coalescenza viene persa circa una massa solare che viene emessa sotto forma di energia dell'onda gravitazionale: si tratta di una energia pari a circa un terzo di quella emessa da GW150914. Lo spin del buco nero finale è circa il 74% del valore massimo consentito dalla teoria della relatività: inoltre si dimostra come almeno  uno dei buchi neri iniziali possieda uno spin pari ad almeno il 20% del valore massimo ammesso: è la prima volta che viene effettuata una misura di questo tipo.
La distanza, come si diceva, è molto poco determinata, e risulta compresa tra 250 e 620 Mpc.

Insomma, il secondo evento di LIGO, pur non essendo chiaro e potente come il primo, consente tuttavia di aumentare le nostre conoscenze sulla fisica dei buchi neri e sulle loro coalescenze. Ci aspettiamo altre sorprese nel breve futuro.




giovedì 16 giugno 2016

Il regalo di Natale

Per chi si occupa di onde gravitazionali, il regalo di Natale 2015 è arrivato con un giorno di ritardo: infatti il 26 Dicembre, Santo Stefano per noi Italiani, e Boxing Day per gli anglosassoni, alle 3 del mattino ora di Greenwich, l'osservatorio LIGO ha registrato un secondo chiaro evento proveniente dal collasso di due buchi neri.
Il 26 Dicembre 2015 solamente pochi al mondo sapevano della prima osservazione di LIGO, e ancor meno erano effettivamente convinti del fatto che si trattasse della prima osservazione di un'onda gravitazionale. In dubbio sul da farsi, la comunità LIGO-VIRGO ha deciso di concentrare i propri sforzi sul primo degli eventi, tralasciando per il momento il secondo per evitare di ritardare la pubblicazione dei risultati. Non che ci fosse concorrenza, ovviamente, solamente si voleva evitare che un eccessivo ritardo nella pubblicazione favorisse la fuga di notizie, alimentando quel chiacchiericcio e gossip che negli ultimi anni, grazie alla potenza del web, ha caratterizzato molte delle scoperte importanti degli ultimi anni.
L'annuncio di una seconda rivelazione, che a questo punto si spera possa fare arrendere i più scettici, è avvenuto ieri nel corso del meeting dell'American Astronomical Society.
L'evento, battezzato  GW151226, secondo la convenzione standard, è un evento tecnico, che ha una sua bellezza riservata agli addetti ai lavori, non così sfacciata come quella di GW150914: infatti non è visibile ad occhio nudo, ma è rivelabile solamente tramite le più sensibili tra le analisi a disposizione, ovvero quelle che sfruttano tutte le conoscenze a nostra disposizione sui collassi stellari.
Come nel caso del primo evento, anche stavolta si tratta di un'onda generata dalla coalescenza tra due buchi neri, ma di massa più piccola: si stima che stavolta i due buchi neri avessero una massa di 14 e 7.5 masse solari, mentre il buco nero risultante dal collasso ha una massa di quasi 21 masse solari. Nel collasso viene emessa circa una massa solare sotto forma di onde gravitazionali.
L'articolo che descrive l'evento si può trovare qui: in un prossimo post lo discuterò con maggior dettaglio.
E' il caso di ricordare  che LIGO ha registrato un terzo evento, non abbastanza forte da poter essere classificato con certezza come prodotto dall'onda gravitazionale (ed infatti il nome in codice è LVT151012) ma abbastanza da consentire uno studio comparato dei suoi parametri rispetti ai due eventi più blasonati.
L'articolo che effettua un confronto tra i tre eventi si trova qui, ed anche a questo dedicherò una analisi.
Il mondo della astronomia gravitazionale si sta facendo sempre più interessante, e sembra rispettare le attese: prevedo che presto ne vedremo delle belle!


lunedì 22 febbraio 2016

Neutrini assenti giustificati

Le collaborazioni IceCube e ANTARES hanno pubblicato il risultato della loro ricerca di neutrini in coincidenza con l'evento GW150914: zero neutrini osservati provenienti dalla regione di origine dell'onda gravitazionale in un intervallo di tempo di mille secondi intorno all'evento di onde gravitazionali. Questo risultato concorda con quanto atteso dai modelli teorici nella coalescenza di due buchi neri.

mercoledì 17 febbraio 2016

Una catastrofe silenziosa

Agli annunci di grandi scoperte da parte della comunità scientifica fa solitamente seguito una inondazione di "instant papers", ovverossia articoli scritti rapidamente in cui i fisici teorici cercano di accaparrarsi la priorità nella spiegazione di aspetti poco chiari della scoperta o tentano di trarre previsioni di cui successivamente rivendicare la paternità. Questi articoli autoprodotti vengono solitamente resi pubblici tramite il sito arxiv (la x sta per la lettera greca χ , per cui il nome rimanda alla parola inglese archive), un sito benemerito dove vengono pubblicati in anteprima e a libero accesso articoli che successivamente, dopo il processo di peer review, verranno accettati e pubblicati dalle migliori riviste scientifiche. Molti degli instant paper hanno natura effimera, e spesso non raggiungono la pubblicazione ufficiale e il loro ricordo svanisce rapidamente.
Anche nel caso della scoperta delle onde gravitazionali, sono arrivati ad arxiv una serie di contributi, più o meno elaborati: non c'è stata tuttavia una inondazione come è avvenuto ad esempio nel caso della scoperta dell'Higgs: ad oggi sotto la chiave di ricerca GW150914 si trovano solamente 20 articoli non provenienti dalla collaborazione VIRGO. Questa lentezza di reazione è spiegabile con una serie di motivi: uno è la segretezza nel quale la collaborazione è riuscita a mantenere i dettagli della scoperta fino agli ultimi giorni; un'altro al fatto che, assieme all'articolo che annuncia l'osservazione dell'evento, la collaborazione LIGO-VIRGO ha pubblicato una serie di companion papers, articoli di contorno, che spiegano i dettagli dell'osservazione e ne traggono tutte le conseguenze immediate. A questo si aggiunga il fatto che non sono state osservate "stranezze" nell'evento, e che tutto quello che è stato osservato sembra spiegabile con la sola teoria della relatività. Quindi, l'osso è stato presentato già ben spolpato, ed è rimasta poca ciccia per chi vuole partecipare al banchetto. Tuttavia alcuni di questi articoli trattano una questione molto interessante: per capire di che si tratta, è necessaria una piccola spiegazione.
L'evento GW150914, con l'emissione di 1048 Watt di potenza, è probabilmente l'evento più violento che sia mai stato registrato da uno strumento umano. Bene, la cosa singolare è che, se i due interferometri LIGO fossero stati ancora spenti, di questo evento non avremmo probabilmente avuto traccia: infatti il collasso tra due buchi neri avviene esclusivamente per via gravitazionale, senza coinvolgere nessun tipo di processo elettromagnetico che potrebbe generare onde elettromagnetiche, osservabili con gli strumenti tradizionali. Tuttavia i protocolli di intesa tra LIGO e gli osservatori tradizionali prevedono l'invio di una circolare in occasione dell'osservazione di eventi interessanti, anche perché da altri tipi di eventi osservabili tramite onde gravitazionali, come ad esempio il collasso di una coppia di stelle a neutroni, è prevista una forte emissione di onde elettromagnetiche.
Gli scienziati responsabili degli altri osservatori eseguono allora quello che viene detto in gergo electromagnetic follow-up, ovvero la ricerca, negli istanti immediatamente precedenti o successivi l'evento, di segnali radio, X o gamma, o nel visibile, provenienti dalla zona di localizzazione dell'evento gravitazionale.
Su Arxiv sono già comparse alcune di queste ricerche, quasi tutte negative: il satellite Swift, ad esempio, riferisce di non aver osservato la comparsa di alcuna sorgente di raggi X nella regione individuata da LIGO nei giorni successivi all'evento. Il telescopio PanSTARRS, che si trova nelle isole Hawaii, ha cercato invece delle possibili controparti ottiche, senza trovare alcun eventi interessante se non "banali" supernovae.
Sono stati pubblicati anche i risultati dei due strumenti che fanno parte dell'osservatorio Fermi: il large area telescope LAT e il monitor di gamma ray bursts  GBM. Questi due strumenti, prodotti da una collaborazione tra Italia, Francia, Giappone e Svezia, si trovano su di un satellite lanciato nel 2008 dalla NASA. Hanno entrambi lo scopo di effettuare osservazioni astronomiche nella regione dei raggi gamma, anche se i range di energia sono differenti (LAT è sensibile alla parte alta dello spettro, mentre GBT a quella bassa). Fermi negli anni passati è stato protagonista di una serie di scoperte estremamente interessanti che hanno contribuito ad ottenere una nuova visione dell'universo.
Bene, Fermi ha pubblicato due articoli: quello riguardante le osservazioni di LAT presenta risultati negativi, visto che la regione di cielo individuata come origine di GW150914 non risultava compresa nel campo vsivo del telescopio all'epoca dell'evento.
Invece la collaborazione Fermi-GBM pubblica un risultato inaspettato e potenzialmente interessante, ovvero l'osservazione di un lampo di raggi gamma circa 0.4 secondi dopo l'evento registrato da LIGO, di durata pari a circa 1 secondo. Si tratta di un lampo molto debole, e per giunta registrato in una zona del rivelatore non molto sensibile: di conseguenza la sua significatività è bassa (approssimativamente 3 %sigma; ) e la probabilità di un falso allarme, circa 0.002, è relativamente alta.
Immediatamente, sempre su Arxiv, sono cominciate a comparire delle possibili spiegazioni del meccanismo di formazione del lampo gamma, meccanismi che sembrano prevedere la presenza di materia stellare intorno alla coppia di buchi neri: sotto la spinta delle onde emesse durante la fase di coalescenza, questa materia si sarebbe riscaldata istantaneamente emettendo delle onde elettromagnetiche. Personalmente tuttavia penso che la significatività del segnale rivelato, per giunta in assenza di un modello fisico affidabile, sia troppo bassa per poter annunciare una scoperta, tanto più che il telescopio a raggi gamma INTEGRAL dell'ESA ha provveduto a porre dei limiti che sembrano smentire il segnale osservato da Fermi.
Saranno necessarie molte altre osservazioni di coalescenze di buchi neri nella regione delle onde gravitazionali per potere confermare o escludere la contemporanea emissione di onde elettromagnetiche: in fondo l'avventura è appena cominciata!

giovedì 11 febbraio 2016

Cosa è avvenuto

Circa 1 miliardo e mezzo di anni fa, più o meno quando sulla Terra comincavano ad apparire le prime cellule,  c'erano, in una regione imprecisata del cielo, due buchi neri che ruotavano uno intorno all'altro. Erano due buchi neri piuttosto grossetti, avevano 36 e 29 volte la materia presente nel sole stipata all'interno di due sfere  di circa 100 km di raggio. Quasi impercettibilmente, ma inesorabilmente, questi due buchi neri perdevano energia per colpa della teoria del Prof. Albert Einstein, e perdendo energia cadevano l'uno sull'altro aumentando la propria velocità. Circa 1,36 miliardi di anni fa, i due buchi neri erano ormai giunti ad una distanza di 1000 km: a quel punto la velocità orbitale era frenetica, ed infatti sfrecciavano ad un terzo della velocità della luce. Dopo soli 150 millisecondi la distanza si era ridotta a circa 350 chilometri, e la velocità di rivoluzione era diventata pari a metà la velocità della luce: un'orbita veniva compiuta in circa 13 millisecondi. Più o meno allora le superfici dei buchi neri si toccarono, e come due gocce d'acqua si fusero, o meglio produssero una coalescenza. Nel giro di una decina di millisecondi di tutta questa tempesta non era rimasto praticamente nulla: un solo buco nero di massa pari a circa 62 masse solari ruotava tranquillamente come se niente fosse accaduto, mentre una piccola increspatura dello spazio, una superficie sferica spessa circa tremila chilometri, si allontanava rapidamente (alla velocità della luce)  portando via una enorme quantità di energia ottenuta sgretolando una massa pari a circa tre volte quella del sole, e trasportando contemporaneamente l'unica notizia del disastro.
Questa sottile increspatura dello spazio, il 14 Settembre 2015, ha raggiunto gli specchi sospesi dell'osservatorio LIGO, e li ha spostati di circa un miliardesimo di miliardesimo di metro, cioè di circa un millesimo del raggio del protone. Tuttavia, anche se così piccolo, lo spostamento non è passato inosservato, ed è per questo che oggi possiamo raccontarvi questa storia.

Inizia l'era dell'astronomia delle onde gravitazionali!

La notizia era nell'aria, e da tempo si rincorrevano le indiscrezioni: l'ultima, pubblicata sul sito online di Science Magazine, sembrava particolarmente informata, ed infatti è stata immediatamente ripresa dai giornali italiani. Adesso però è ufficiale: è cominciata l'era dell'astronomia delle onde gravitazionali!

Il 14 Settembre 1915 infatti le antenne interferometriche gravitazionali che costituiscono l'osservatorio LIGO, di cui ho parlato nei post precedenti, hanno rilevato quello che si è immediatamente dimostrato essere un segnale estremamente interessante: si tratta infatti di una oscillazione di durata estremamente breve (in tutto poco meno di 0.2 s), che cresce rapidamente in frequenza ed ampiezza passando da circa 60 Hz fino a circa 150 Hz in circa 0.1 s; successivamente, la frequenza continua ad aumentare ma l'ampiezza decresce rapidamente e il segnale scompare.
Il segnale è pressocché identico in entrambi i rivelatori, e si sovrappone perfettamente con un ritardo di circa 7 ms tra il rivelatore della Louisiana (L1) e quello di Hanford (H1): questo ritardo è compatibile con il massimo osservabile di circa 10 ms. 

Il segnale rivelato dagli interferometri di Hanford e Livingston. Nella figura in alto a sinistra i due segnali sono sovrapposti per confronto. Nella seconda riga viene mostrato il segnale ricostruito, mentre nella terza riga viene mostrato il rumore residuo. Infine nella quarta riga viene mostrato l'andamento della frequenza in funzione del tempo. Immagine tratta dall'articolo delle collaborazioni LIGO e VIRGO pubblicato su Physical Review Letters.


Il segnale, battezzato GW150914, ha tutte le caratteristiche di quello prodotto dal collasso di due oggetti estremamente massicci, che orbitano uno intorno all'altro perdendo energia tramite l'emissione di onde gravitazionali, avvicinandosi e aumentando la propria velocità fino al collasso finale. In base alla velocità con cui varia la frequenza, è possibile dare una stima della cosiddetta “massa di chirp” (la parola chirp, “cinguettio”, indica un segnale in cui la frequenza varia rapidamente), che è una funzione delle masse di entrambe gli oggetti coinvolti nel collasso. In base ai dati osservati, pare probabile che i due oggetti avessero una massa di chirp pari a circa 30 volte la massa del Sole, il che vuol dire che la somma delle masse dei due oggetti deve risultare maggiore di circa 70 masse solari. Assumendo una massa uguale, ed adoperando la sola meccanica classica newtoniana, si trova che per raggiungere una frequenza di rivoluzione pari a 75 Hz (pari a metà la frequenza delle onde gravitazionali emesse nell'istante della coalescenza) i due corpi devono trovarsi ad una distanza di appena 350 Km, raggiungendo una velocità di circa 83000 Km al secondo, pari a circa il 27% della velocità della luce! 

A questo punto è possibile interrogarsi sulla natura dei due oggetti. Può trattarsi di due stelle giganti? No, perché due stelle di tale massa sarebbero entrate in contatto molto prima di raggiungere una frequenza di rotazione di 150 Hz.
Può trattarsi di una coppia di stelle di neutroni? No, perché la stella di neutroni più massiccia mai osservata si aggira intorno alle 3 masse solari, e per una massa maggiore di 10 masse solari la stella di neutroni collassa in un buco nero.
Quindi nell'ipotesi che le masse siano uguali, o comunque vicine, i due oggetti devono necessariamente essere due buchi neri.
E se invece gli oggetti avessero massa molto diversa? Qui bisogna entrare un po' in dettaglio nei calcoli: si trova infatti che se l'oggetto leggero fosse una stella di neutroni di una decina di km di raggio, allora la sua massa dovrebbe essere di almeno una decina di masse solari, altrimenti il collasso avverrebbe a frequenza più bassa.
Quindi perché due corpi così massicci possano orbitare con una frequenza di rotazione di 75 Hz senza entrare in contatto, l'unica possibilità è che si tratti di due buchi neri. Osserviamo inoltre il raggio di Schwarzschild di ognuno dei due oggetti si aggirerebbe intorno ai 100 Km: quindi poco prima del collasso gli orizzonti degli eventi dei due buchi neri sarebbero distanti appena 150 Km. Ovviamente per descrivere correttamente un sistema di questo tipo, è assolutamente necessario l'uso della relatività generale.

Ma come si fa ad essere certi che il segnale osservato sia un segnale vero, e non un disturbo strumentale? Bisogna innanzitutto osservare che gli interferometri che costituiscono l'osservatorio Ligo si trovano a circa 3000 Km di distanza l'uno dall'altro: un disturbo esterno che agisca su entrambi entro il tempo impiegato dalla luce a percorrere la distanza che li separa (10 msec) è estremamente improbabile. Inoltre entrambi gli strumenti sono monitorati da un insieme di sensori che registrano i movimenti della crosta terrestre, i rumori, i campi magnetici, le variazioni di temperatura, etc: nessuno di questi sensori ha osservato nulla di anomalo in coincidenza con il segnale osservato. Rimangono solamente le cosiddette coincidenze casuali: ovvero le fluttuazioni statistiche del segnale prodotto dallo strumento che casualmente vengono prodotte in entrambi gli interferometri contemporaneamente.
Per stimare la probabilità che ciò avvenga, si procede nel modo seguente: dapprima si ricerca, all'interno del segnale prodotto dall'interferometro, un segnale simile a quello prodotto in un collasso stellare, confrontandolo con una banca di possibili segnali. Successivamente si ricercano le coincidenze, ovverossia quei segmenti di dati in cui i due rivelatori hanno dato un segnale simile entro un intervallo di tempo inferiore ai 10 msec del ritardo stimato. In base alla somiglianza col segnale atteso, ed alla somiglianza tra i segnali osservati dai due interferometri, si costruisce una quantità (detta “statistica di rivelazione”) che risulta tanto più grande quanto maggiore è la somiglianza. Per stimare la probabilità di osservare casualmente un alto valore della statistica di rivelazione, si ripete la stessa operazione ritardando artificialmente il segnale di uno dei due interferometri di un tempo arbitrario, ma comunque superiore ai 10msec massimi attesi tra i due interferometri: in questo modo si ottiene un insieme di coincidenze sicuramente casuali. Infine si confrontano i due insiemi di coincidenze ottenute: in questo modo, data una coincidenza reale, è possibile determinare la probabilità che una coincidenza con le stesse caratteristiche avvenga per caso. Nella figura viene mostrato il risultato:
La distribuzione della statistica di rivelazione per le coincidenze reali (quadratini colorati) confrontata con quella delle coincidenze casuali attesa. A sinistra sono adoperati modelli di segnale generici, a destra modelli di segnale provenienti dal collasso di sistemi binari. Immagine tratta dall'articolo delle collaborazioni LIGO e VIRGO pubblicato su Physical Review Letters.

nel grafico a sinistra, viene mostrata la distribuzione della “statistica” per le coincidenze reali, ottenute confrontando i dati con un insieme di funzioni generiche che hanno solamente una somiglianza vaga con il segnale atteso, adoperando una (punti arancione) o due (punti azzurri) possibili classi di eventi, a seconda che la frequenza aumenti o rimanga costante durante l'evoluzione del segnale. Nel grafico a destra, invece, il segnale dei due interferometri è stato confrontato con una banca contenente circa 250000 possibili segnali prodotti dal collasso di due buchi neri, ottenuti tramite tecniche di simulazione numerica. Il grafico delle coincidenze casuali è doppio, in quanto nel produrlo si può decidere se tenere o scartare l'evento osservato: nel primo caso, il livello delle coincidenze casuali stimato potrebbe risultare maggiore di quello reale, mentre nel secondo caso potrebbe risultare minore. Col primo metodo si stima che la probabilità di ottenere una coincidenza casuale con caratteristiche simili all'evento osservato è dell'ordine di una volta su 22500 anni; rilassando però i criteri di coincidenza la probabilità sale ad una volta ogni 8400 anni.
Assumendo che i segnali provengano da un collasso stellare descritto dalla relatività generale, la probabilità scende ad una volta ogni 203000 anni , con una significatività pari a 5.1σ: ricordiamo che il limite di 5 σ è il limite convenzionale necessario a definire una osservazione come una scoperta.

Rimane da determinare con esattezza cosa ha prodotto il segnale gravitazionale in base alle caratteristiche dell'evento: pertanto i fisici hanno confrontato la forma d'onda con quella prevista nel caso di un collasso tra due buchi neri. Il confronto è avvenuto tenendo conto dell'esatto orientamento dei rivelatori, dell'esatto ritardo tra i segnali, e considerando anche la possibilità che entrambi i buchi neri ruotassero prima della collisione. Il risultato è che, assumendo due buchi neri di massa pari a circa 36 e 29 masse solari, rispettivamente, l'accordo con il segnale osservato è spettacolare.
Con questo metodo, è possibile anche determinare che, dopo il collasso, quello che rimane è un buco nero rotante di massa pari a 62 masse solari: questo vuol dire che una massa pari a circa 3 masse solari è stata trasformata in onde gravitazionali. Si tratta di una quantità di energia spaventosa, pari a circa 5 1047 Joule, pari a circa il fabbisogno energetico terrestre attuale per 27000 anni. Questa energia risulta ancora più spaventosa se si pensa che viene emessa nell'arco di circa 0.2 secondi, ovvero con una potenza pari a circa 2.5 1048 Watt! Di questa energia la parte rilevata dall'esperimento è estremamente piccola: infatti la deformazione del rivelatore è pari al massimo a 10-21: ovvero, su una distanza di 4 Km, gli specchi si avvicinano di solo 4 10-18 metri (per confronto, il raggio del protone è di circa 10-15 metri, mille volte più piccolo). La velocità massima, corrispondente ad una frequenza di 150 Hz, è quindi di 4 10-15 m/s, e quindi gli specchi di 40 Kg acquistano una energia al massimo di 3 10-28 joule!

Per quanto riguarda la posizione del cielo della sorgente del segnale osservato, purtroppo con due soli rivelatori non è possibile dire molto: infatti dal ritardo tra i rivelatori è solamente possibile dire che la congiungente tra i due rivelatori forma con la direzione di arrivo un angolo il cui coseno è circa uguale a 7/10 (il ritardo osservato diviso per il massimo ritardo previsto): questo corrisponde ad un cerchio sulla volta celeste di ampiezza pari a circa 45 gradi. Lungo questo cerchio esistono delle zone più o meno probabili in base alla forma e all'ampiezza del segnale osservato: utilizzando tutta l'informazione disponibile è possibile limitare la zona al 90% di livello di confidenza ad un'angolo solido di circa 600 gradi quadrati. In figura viene mostrata la zona dell'emisfero sud in cui è più probabile che si trovasse la sorgente. Si noti che quando VIRGO sarà operativo sarà possibile, in caso di rivelazione congiunta, ridurre la zona di provenienza per un evento di questo tipo ad una regione di pochi gradi quadrati!

In questa figura che rappresenta il cielo visto dall'emisfero meridionale è mostrata la sorgente delle onde gravitazionali rivelate dagli interferometri gemelli L1 ed H1. La linea viola indica il 90% di livello di confidenza della localizzazione della sorgente; il giallo il 10% di livello di confidenza. I ricercatori hanno localizzato la sorgeente adoperando i dati provenienti da entrambi i rivelatori. Le onde gravitazionali sono giunte ai rispettivi rivelatori e distanza di 7 millisecondi. Questo ritardo ha permesso di individuare una particolare regione dello spazio a forma di anello da dove il segnale deve essere arrivato. Credits: LIGO collaboration
Confrontando l'ampiezza attesa con quella osservata è infine possibile determinare che la distanza è compresa tra 230 e 570 MegaParsec: si ricordi che il Megaparsec è l'unità di misura caratteristica della distanza tra galassie, per cui è estremamente difficile determinare con precisione il punto di provenienza. Sono in corso dei confronti con i dati provenienti da altri osservatori nella regione delle onde radio o dei raggi gamma, per verificare l'esistenza di segnali in coincidenza, ma finora i risultati non sono stati resi pubblici.
Un ultimo controllo sui dati è stato effettuato per verificare la consistenza di quanto osservato con la relatività generale: il risultato è che allo stato attuale non esiste nessun indizio che la relatività possa non funzionare per sistemi di questo tipo.

In conclusione con un colpo solo:
1) sono state rivelate per la prima volta le onde gravitazionali;
2) è stata verificata l'esistenza di buchi neri di massa maggiore di 25 masse solari;
3) è stata dimostrata l'esistenza di sistemi binari formati da due buchi neri massicci;
4) è stato verificato che questi sistemi collassano entro un tempo inferiore all'età dell'Universo;
5) è stato verificato che la relatività generale è in grado di descrivere l'evento con ottima accuratezza.

In conclusione, un bel modo di festeggiare i 100 anni della teoria!


mercoledì 10 febbraio 2016

Aggiornamenti sulla ricerca delle onde gravitazionali

Come dicevo nel post precedente, l'osservatorio LIGO ha già cominciato a prendere dati nella nuova configurazione.
Per festeggiare i 100 anni della teoria della relatività generale, e per fornire un interessante aggiornamento degli sviluppi recenti nella ricerca delle onde gravitazionali, è stata organizzata una conferenza stampa in contemporanea a Washington DC e nei siti di LIGO, e in Italia, a Cascina, nel sito di VIRGO. Le due conferenze inizieranno contemporaneamente alle ore 16 e 30 (ora italiana), e saranno visibili in streaming. Molte università italiane hanno già organizzato delle dirette locali.
I risultati di cui si parlerà si preannunciano interessanti, e già circolano supposizioni ed indiscrezioni su quello che verrà detto.

Maggiori dettagli sulle conferenze stampa negli Stati uniti si trovano qui:

https://www.ligo.caltech.edu/news/ligo20160208

mentre i dettagli sulla conferenza italiana si trovano qui:

http://public.virgo-gw.eu/february-11th-scientists-to-provide-an-update-on-the-search-for-gravitational-waves/

inoltre sono state create delle pagine facebook per l'evento

https://www.facebook.com/events/830955763680595/
https://www.facebook.com/events/550503648449034/

I link per la diretta streaming verranno resi pubblici un'ora prima dell'evento.

Nel prossimo post discuterò le novità presentate. Rimanete in ascolto!
Nel frattempo, godetevi questa simulazione della NASA della fusione di due buchi neri:

La rete di rivelazione delle onde gravitazionali

Un'interferometro gravitazionale è uno splendido strumento, probabilmente il più sensibile mai realizzato, ma ha un grosso difetto: funziona come un microfono in ascolto, e quindi non è in grado, da solo, di ricostruire la direzione di provenienza dell'onda.
In dettaglio, la sensibilità dello strumento non è esattamente omnidirezionale, ma varia molto poco in funzione della direzione di arrivo: è massima per onde che arrivano da direzioni perpendicolari al piano dell'interferometro, ma diminuisce solamente della metà per onde gravitazionali che viaggiano parallelamente al piano dello strumento.
Pertanto per poter realizzare una vera e propria astronomia gravitazionale, è necessario adoperare più strumenti conteporaneamente: ma con due soli interferometri, basandosi sulla differenza dei tempi di arrivo delle onde gravitazionali (che viaggiano, ricordiamolo, alla velocità della luce), è possibile solamente individuare sulla volta celeste una regione a forma di corona circolare dalla quale è probabile provenga il segnale. Perché possa essere individuata con maggiore esattezza la direzione di provenienza, sono necessari almeno tre interferometri: confrontando i ritardi, si riesce a determinare la direzione di provenienza entro qualche decina di gradi quadrati.
Gli interferometri attualmente realizzati nel mondo sono quattro: due, negli Stati Uniti, fanno parte del progetto Ligo, uno, in Italia, è l'interferometro Virgo, il quarto, Geo600, si trova in Germania. Un altro interferometro, più piccolo è stato operativo in Giappone fino a poco tempo fa.
Una foto aerea dell'edificio centrale dell'interferometro LIGO di Livingston (Credits: The LIGO Collaboration)

I due interferometri che formano l'osservatorio LIGO hanno bracci lunghi 4 km, e si trovano ad una distanza di circa 3000 km l'uno dall'altro, uno a Livingston, in Louisiana, ed un altro ad Hanford, nello stato di Washington. L'orientazione relativa dei due interferometri è tale da massimizzare la probabilità di una osservazione congiunta da parte dei due rivelatori.
LIGO ha operato dal 2002 al 2010 in una configurazione iniziale che non ha rivelato onde gravitazionali, ma ha consentito di porre dei limiti importanti sulla loro ampiezza. Dopo il 2010, LIGO è stato completamente riprogettatto e migliorato, per tornare in funzione con il nome di advanced LIGO o aLIGO solamente all'inizio del 2015. I dati accumulati nel primo periodo di presa dati corrispondono già ad un volume nello spazio tempo paragonabile a tutti i periodi di presa dati precedenti.

VIRGO è invece un interferometro che si trova a Cascina, vicino Pisa, in Italia. Frutto di una collaborazione italo francese, cui poi si sono aggiunti istituti Olandesi, Polacchi e Ungheresi, Virgo ha dei bracci della lunghezza di 3 Km. La fase operativa iniziale di VIRGO è durata dal 2017 al 2011: successivamente il rivelatore è stato smontato e riprogettato, e dovrebbe ricominciare a prendere dati nel 2016 con il nome di advanced VIRGO. Neanche VIRGO ha mai rivelato onde gravitazionale.

Una suggestiva foto aerea di VIRGO. La foto è stata presa da Sud in direzione Nord. (Credits: The virgo Collaboration)

Infine GEO600 è un interferometro più piccolo (i bracci sono lunghi solamente 600 metri) e meno sensibile sia di LIGO che di VIRGO: tuttavia è di importanza strategica non solo per l'aiuto nella determinazione della direzione di provenienza delle onde gravitazionali, ma anche perché viene adoperato come laboratorio per la sperimentazione di nuove tecniche da adoperare nei rivelatori di nuova generazione.

Vista l'importanza di adoperare una rete di osservatori, sono stati stretti degli accordi tra i membri delle tre collaborazioni che prevedono periodi di osservazione comuni, lo scambio dei dati e delle informazioni e la firma congiunta delle pubblicazioni. Inoltre l'esperimento LIGO periodicamente pone nel pubblico dominio i dati per sottoporli all'analisi dei ricercatori non facenti parte dell'esperimento.

La sensibilità dei vari interferometri nel loro ultimo periodo di operatività è mostrata in figura:

Sensibilità degli interferometri LIGO, VIRGO e GEO600 all'epoca dei loro periodi osservativi.
Come si vede, la sensibilità di LIGO è risultata generalmente migliore di quella di VIRGO, tranne che nella regione delle basse frequenze, dove VIRGO produce i migliori risultati grazie alle sospensioni sviluppate a Pisa che producono un isolamento più efficace dai movimenti del terreno. La sensibilità di GEO risulta invece inferiore.

I nuovi rivelatori dovrebbero risultare più sensibili dei loro progenitori di circa un ordine di grandezza per la maggior parte delle frequenze; l'adozione da parte di LIGO di un sistema di sospensione simile a quello di VIRGO consentirà anche alla collaborazione americana delle buone prestazioni anche a basse frequenze.

Oltre ai rivelatori attualmente esistenti, ne esistono altri in fase di costruzione o progettazione più o meno avanzata: ricordiamo ad esempio KAGRA, in Giappone, o un terzo interferometro aLIGO da costruirsi in India.
Infine ricordiamo che esistono già progetti avanzati per una nuova generazione di rivelatori da costruire nello spazio: l'interferometro LISA, in particolare, dovrebbe essere costituito da tre satelliti distanti tra di loro un milione di km, orbitanti sotto l'effetto del solo campo gravitazionale. Un primo prototipo di satellite è stato posto di recente in orbita: si tratta della missione LISA Pathfinder, che trasporta una massa con caratteristiche simile ad uno degli specchi che formeranno l'interferometro. Lo scopo è quello di lasciare la massa libera di muoversi sotto l'azione del solo campo gravitazionale, mentre un complesso sistema di sensori posto sul satellite ne segue il movimento. Proprio pochi giorni fa la massa è stata sganciata per la prima volta dal sistema che la teneva bloccata durante il decollo.

lunedì 8 febbraio 2016

La ricerca delle onde gravitazionali

Weber al lavoro su una delle sue antenne.
La storia della ricerca delle onde gravitazionali comincia con un pioniere, Joseph Weber, che negli anni '60 comincia ad operare un rivelatore di propria concezione destinato a funzionare come antenna gravitazionale. Lo strumento è essenzialmente una barra di metallo sospesa: ci si aspetta che le onde gratazionali possano mettere in vibrazione la sbarra al loro arrivo. Il problema è ovviamente quello di distinguere le vibrazioni prodotte dalle onde gravitazionali dagli altri infiniti disturbi presenti nell'ambiente. Per questo motivo, Weber produsse altre sbarre, disposte in luoghi lontani tra di loro, in modo tale che solamente un'onda gravitazionale potesse metterle in risonanza tutte assieme: i disturbi locali avrebbero influenzato al massimo una sola delle sbarre.
Con il suo dispositivo, Weber riuscì nel 1968 ad osservare una serie di segnali coincidenti in due sbarre distanti 1000 Km,  e concluse di avere osservato degli autentici eventi di onde gravitazionali. L'annuncio lasciò spiazzata la comunità scientifica: all'epoca infatti non si avevano le idee chiare né sull'ampiezza attesa delle onde gravitazionali, né sull'effetto che avrebbero avuto sulla sbarra. Purtroppo, passato il primo entusiasmo, cominciarono i problemi: infatti non solo nessuno scienziato riuscì mai a riprodurre i risultati ottenuti da Weber, ma ci si rese conto inoltre che i segnali da lui rilevati avrebbero implicato delle onea gravitazionali di ampiezza irrealisticamente grande. In breve tempo le scoperte di Weber furono avvolte da un velo di incredulità. Tuttavia il suo lavoro non risultò inutile: si si accorse infatti che la rilevazione delle onde gravitazionali, se non proprio facile, era comunque una cosa fattibile. Inoltre, altre sbarre risonanti molto più sensibili di quelle di Weber vennero costruite: ad esempio, l'italiana AURIGA, tuttora in funzione. Purtroppo nessuno di questi rivelatori ha mai ottenuto alcun segnale inequivocabilmente riconducibile agli effetti di un'onda gravitazionale.

Nel 1974, tuttavia, gli scienziati  scoprirono qualcosa di più consistente degli evanescenti segnali di Weber: in quell'anno infatti gli americani Russell Hulse e Joseph Taylor riferirono la scoperta di una pulsar singolare: infatti il periodo della sua emissione radio non risultava costante, bensì variava ogni quasi otto ore. Hulse e Taylor conclusero correttamente come la pulsar dovesse essere la componente di un sistema binario: le variazioni di periodo erano infatti dovute al moto di rivoluzione intorno alla compagna invisibile. Una serie di misurazioni successive permisero di misurare non solo la massa della pulsar, pari a circa 1.4 masse solari, ma anche quella della compagna, che risultò essere una stella a neutroni molto simile ma senza emissione nel radio, ed inoltre tutti i parametri orbitali quali semiassi e inclinazione dell'orbita. Ma la cosa più spettacolare fu la scoperta che il periodo di rivoluzione del sistema aumentava in modo misurabile: in pratica, le due stelle stanno cadendo spiraleggiando l'una sull'altra. Non solo, ma la perdita di energia che dà origine alla caduta venne dimostrato essere uguale a quella prevista dalla relatività generale per emissione di onde gravitazionali! La pulsar, conosciuta col nome di PSR1913+16, fruttò ai suoi scopritori il premio Nobel per la fisica nel 1993. Ovviamente le onde gravitazionali emesse non sono direttamente rilevabili, a causa della loro bassissima frequenza, ma probabilmente lo saranno quelle emesse durante la loro coalescenza, tra circa 300 milioni di anni, sempre che ci sia qualcuno ad osservare.
Andamento del periodo della pulsar PSR 1913+16 in funzione del tempo. La linea continua rappresenta la previsione della relatività generale in base alla perdita di energia tramite onde gravitazionali. Fonte: Wikipedia

Nonostante il progredire della tecnica, le barre risonanti presentano comunque un difetto difficilmente superabile: sono rivelatori a banda stretta, ovvero sono estremamente sensibili solo in corrispondenza alla frequenza di oscillazione della sbarra. Questo vuol dire che, anche nel caso in cui un segnale di onda gravitazionale venisse rivelato, tutti i dettagli sulla sua forma verrebbero irrimediabilmente perduti. Per questo, a partire dalla fine degli anni '80, si è cominciata la progettazione e successivamente costruzione di rivelatori di nuova concezione, basati su uno strumento vecchio più di un secolo: l'interferometro di Michelson.
Il fisico statunitense Albert Abraham Michelson aveva inventato il suo strumento per cercare di misurare la velocità della Terra attraverso l'etere: il risultato nullo del suo esperimento era stato successivamente spiegato da Einstein tramite la teoria della relatività ristretta.
Schema dell'interferometro di Michelson. Fonte: Wikipedia
Il principio su cui si basa l'interferometro di Michelson è molto semplice: un fascio di luce monocromatica (una volta si adoperava una lampada al sodio, adesso si preferisce un fascio laser) viene separato in due tramite uno specchio semiriflettente (beam splitter); le due metà del fascio vengono inviate in direzioni ortogonali verso due specchi che le rimandano indietro, a ricombinarsi interferendo su uno schermo. I percorsi dei due semifasci lungo quelli che si chiamano i due bracci dell'interferometro non sono esattamente uguali: se differiscono di un multiplo inttero della lunghezza d'onda della luce adoperata, allora l'interferenza è costruttiva, e sullo schermo si osserva una macchia luminosa, mentre se la differenza è pari ad un multiplo intero di lunghezze d'onda, più mezza lunghezza d'onda, allora l'interferenza è distruttiva e non si osserva luce sullo schermo; ogni altra situazione produce una macchia di luminosità intermedia. In questo modo piccole variazioni della lunghezza dei bracci risultano in variazioni dalla luce al buio.
Lo schema adoperato per la rivelazione delle onde gravitazionali è essenzialmente questo ma gli specchi sono sospesi in modo da muoversi liberamente sotto l'effetto delle onde gravitazionali; inoltre i bracci sono lunghi diversi chilometri, in modo da amplificare la deformazione da osservare, e presentano degli specchi intermedi che riflettono più volte la luce aumentando la lunghezza effettiva dei bracci. Passare da un disegno base ad un rivelatore reale tuttavia richiede una serie di accorgimenti che spesso portano a soluzioni innovative e senza precedenti.
Il problema più grosso è quello di isolare gli specchi dai disturbi esterni, il principale dei quali è costituito dai microscopici disturbi esterni dovuti ai movimenti del terreno: per questo motivo, gli specchi vanno montati su speciali sospensioni isolanti. Inoltre è necessario che il laser viaggi nel vuoto perché una qualunque piccola variazione di densità nell'aria porterebbe a variazioni significative del tempo impiegato dalla luce a percorrere i due bracci, simulando una variazione di lunghezza: per questo motivo, i bracci dell'interferometro vanno racchiusi entro tubi di acciaio a tenuta stagna nei quali l'aria va eliminata.
Un altro problema di difficile soluzione è quello di tenere allineato l'interferometro: infatti gli specchi sono di dimensioni ridotte (diametri dell'ordine di qualche decina di cm)  e vanno centrati da una distanza di qualche km. Un piccolo disallineamento del laser, anche di pochi millesimi di grado, o del beam splitter o degli specchi terminali impedisce all'interferometro di funzionare. Per questo è presente un sofisticato sistema di controllo in grado di tenere allineati i vari componenti, e di riallinearli automaticamente in caso di problemi. Anche la forma degli specchi deve essere tenuta accuratamente sotto controllo, per far si che il raggio laser torni indietro esattamente nel punto da cui era partito, ed ogni rugosità e granello di polvere va eliminata per evitare che la luce del laser si sparpagli in giro in ogni direzione.
La costruzione degli interferometri per la rivelazione delle onde gravitazionali è pertanto un compito formidabile, che richiede l'applicazione delle migliori tecnologie, e quando è il caso, l'invenzione di nuove. Ogni tanto, raramente, qualcosa è andato storto, ma fino ad adesso i fisici sono stati in grado di costruire una serie di interferometri funzionanti secondo le specifiche anche se non ancora abbastanza sensibili da rivelare un segnale in forma non ambigua. Ma dei rivelatori esistenti parleremo nella prossima puntata.



giovedì 4 febbraio 2016

Le onde gravitazionali

Non è mia intenzione, in questo blog, descrivere in dettaglio e sistematicamente la relatività generale, le sue conseguenze gli esperimenti che la confermano: lo farò solamente quando avrò l'occasione e la voglia.
Pertanto, passo immediatamente ad occuparmi dell'argomento che più mi sta a cuore, quello da cui prende il titolo il blog, ovvero le onde gravitazionali.
L'esistenza delle onde gravitazionali venne prevista da Einstein già nel 1916: egli si rese conto dell'esistenza di una soluzione delle equazioni di campo in cui una piccola deformazione dello spazio tempo si propaga con velocità pari a quella della luce. La deformazione dello spazio indotta dall'onda gravitazionale è ortogonale alla direzione dell'onda (si tratta di un'onda trasversale), ed è costituita da un'alternarsi di contrazioni e dilatazioni: nel piano ortogonale alla direzione di propagazione dell'onda si ha una contrazione in una direzione ed una dilatazione in direzione ortogonale, che si scambiano di posto ogni mezzo periodo.
Quest'effetto viene solitamente spiegato osservando l'effetto che farebbe un'onda gravitazionale incidendo perpendicolarmente su un anello di masse, che verrebbe schiacciato alternativamente in direzioni ortogonali al passaggio dell'onda.
 L'ampiezza dell'onda, solitamente indicata con il simbolo h, indica la deformazione percentuale dello spazio: questo vuol dire che un'onda di ampiezza h produce su due masse a distanza L una variazione di distanza pari a:

Le onde gravitazionali vengono emesse da masse in accelerazione: sfortunatamente lo spazio risulta estremamente rigido, e servono enormi masse e fortissime accelerazioni per produrre onde di ampiezza rivelabile. Le sorgenti di onde gravitazionali più promettenti sono pertanto quelle di origine astronomica. Anche in questo caso, però, i valori di h che si può sperare di ottenere sono estremamente piccoli, tipicamente dell'ordine di 10-23 - 10-21: questo vuol dire che due masse poste ad 1 Km di distanza si avvicineranno o allontaneranno, sotto l'effetto dell'onda gravitazionale, di 10-20 - 10-18 metri: per confronto, il raggio del protone è di circa 10-15 metri!
Nonostante ciò, esistono al mondo diversi rivelatori in grado di osservare spostamenti così microscopici: ne parleremo in un'altra occasione.
Esaminiano invece adesso le sorgenti di onde gravitazionali di origine astronomica più intense.
come si è detto, le onde gravitazionali sono prodotte dall'accelarazione di oggetti massicci: un caso che viene subito in mente è quello di due stelle orbitanti. Un sistema di questo tipo emette onde gravitazionali di frequenza doppia del periodo orbitale.  Purtroppo le stelle ordinarie sono troppo grandi, ed i periodi orbitali sono troppo lenti per essere rivelati da un rivelatore terrestre, che come vedremo può rivelare solamente onde di frequenza compresa tra qualche decina e qualche centinaio di Hz.
Le cose cominciano già ad andare meglio se si considera un sistema formato da due stelle a 
neutroni, o da una stella a neutroni orbitante intorno ad un buco nero, o addirittura due buchi neri orbitanti uno attorno all'altro: questi oggetti infatti sono abbastanza piccoli e compatti da poter  orbitare a distanza ravvicinata con frequenza alta. Anche in questo caso, però, la frequenza delle onde gravitazionali emesse, anche se intense, è troppo bassa per essere rivelata. Tuttavia, questi sistemi, emettendo onde gravitazionali, perdono energia: e perdendo energia si avvicinano sempre di più ruotando sempre più velocemente (è proprio in questo modo, vedremo, che è stata ottenuta la prima prova indiretta dell'esistenza delle onde gravitazionali): in questo modo, dopo aver orbitato per millenni a distanza di sicurezza, nel giro di pochissimo tempo (dell'ordine di qualche decimo di secondo) la rotazione si fa così veloce da entrare nella banda di frequenza visibile dai rivelatori, un istante prima di urtarsi fondendosi ed emettendo un ultimo fiotto di energia gravitazionale.
Le coalescenze binarie (questo è il termine tecnico) sono il tipo di eventi più promettenti per la ricerca delle onde gravitazionali: il boccone più succulento per un fisico sarebbe infatti l'osservazione del collasso di una coppia di buchi neri. Purtroppo questi eventi sono rari: per osservarne un numero sufficiente bisogna essere capaci di guardare lontano: servono quindi rivelatori estremamente sensibili e tanta pazienza.

Oltre alla coalescenza di due stelle, esistono altri eventi catastrofici nell'universo, che potrebbero portare all'osservazione di un impulso di onde gravitazionali: alcuni sono ben noti, come l'esplosione delle stelle giganti sotto forma di supernova, altri ancora non del tutto chiariti, come quelli che danno origine ai lampi di raggi gamma osservati regolarmente provenire da altre galassie. Purtroppo, almeno nel caso delle supernove, una esplosione di forma sferica, e quindi estremamente simmetrica non è in grado di produrre onde gravitazionali di intensità sufficiente ad essere rilevata. Quindi, per avere un segnale importante, è necessaria una esplosione fortemente asimmetrica: ma per questo tipo di eventi non abbiamo modelli affidabili, e comunque l'intensità delle onde emesse dipenderebbe in maniera critica dai dettagli dell'esplosione. Per questo motivo, è difficile fare previsioni sull'intensità, sulla forma dell'impulso, e sul numero di supernove osservabili.

Un'ulteriore categoria di oggetti astronomici che potrebbe dare origine ad onde gravitazionali è costituita dalle stelle di neutroni rapidamente rotanti: della loro esistenza siamo ben certi, infatti si tratta di quegli oggetti comunemente chiamati "pulsar" che emettono impulsi di onde radio o gamma con una frequenza che può arrivare a qualche decina di Hertz. Oggetti di questo tipo si trovano solitamente tra i residui dell'esplosione di una supernova. Anche in questo caso, purtroppo, bisogna notare che un'onda gravitazionale di ampiezza significativa potrebbe essere prodotta solamente dalla presenza di qualche asimmetria nella stella rotante, come ad esempio una montagna, anche piccola: la forte pressione gravitazionale e la rapida rotazione distruggono rapidamente una qualunque asimmetria di questo tipo, per cui anche nel caso delle pulsar i segnali attesi sono estremamente deboli: a differenza di quello che accade nelle coalescenze e nelle supernove, però, il segnale dura moltissimo, per cui una osservazione prolungata potrebbe essere in grado di rilevare anche onde estremamente deboli.

Infine, tra i segnali potenzialmente interessanti, è possibile includere la radiazione di fondo gravitazionale, ovvero l'insieme di osccilazioni residue lasciate nello spazio tempo dal Big Bang: una radiazione di questo tipo è estremamente difficile da rivelare, ma incrociando i dati di una serie di rivelatori è possibile pensare di riuscire a determinarne le caratteristiche principali, per avere qualche indizio sui primi istanti di vita del nostro Universo.

La storia della ricerca delle onde gravitazionali  la racconterò in un prossimo post.

lunedì 1 febbraio 2016

Il pensiero più felice prende corpo

Il "pensiero più felice" di Einstein affonda le sue radici nella famosa esperienza attribuita a Galileo, del lancio dalla Torre di Pisa di palle di cannone di massa diversa, e della successiva osservazione che i tempi di caduta risultano uguali: è facile capire allora che, se qualcuno si lasciasse cadere giù dalla torre assieme alle palle di cannone, vedrebbe queste immobili rispetto a sé stesso, almeno per tutto il tempo della caduta, come se la forza di gravità fosse cancellata. Quando ci si trova in caduta libera, allora, non si sentono gli effetti della forza di gravità: questa osservazione, generalizzata ed elevata a principio, costituisce la base fondante ed il punto di partenza della nuova teoria della gravitazione.
Una affermazione così forte necessita però di una altrettanto forte base sperimentale: Einstein non ne disponeva, ma proprio in quegli anni venivano diffusi i lavori del barone ungherese Loránd Eötvös, di cui parleremo, che fornivano una base sperimentale al principio di equivalenza.
Il principio di equivalenza permetteva di risolvere un duplice problema: da una parte, infatti, consente di incorporare la gravità nella teoria della relatività, dall'altro lato consente di estendere la relatività ristretta, che descrive la relazione le descrizioni dei fenomeni fisici effettuate da due osservatori in moto relativo uniforme uno rispetto all'altro, ad un moto qualunque, anche accelerato. 
Alcune delle conseguenze del principio di equivalenza vengono immediatamente comprese da Einstein: la più immediata è l'azione dei campi gravitazionali sulla luce: i raggi di luce risultano deviati dalla presenza di un campo gravitazionale, ed inoltre cambia la loro energia, legata alla frequenza: quindi ad esempio, nello sfuggire dalla superficie di una stella, un raggio di luce perde energia, e quindi diminuisce la propria frequenza. Un corollario di questo fenomeno è che, in presenza di campi gravitazionali intensi, gli orologi accelerano il battito rispetto ad orologi uguali posti però a grande distanza da corpi massicci. 
Purtropo mancano ad Einstein gli strumenti matematici adeguati per trasformare il principio di equivalenza in una teoria coerente del campo gravitazionale. Sopraffatto da queste difficoltà, Einstein chiede aiuto al suo amico Marcel Grossmann, suo vecchio compagno di studi e adesso professore al politecnico di Zurigo, grazie al quale Einstein si appresta a tornare alla sua vecchia Alma Mater come professore ordinario.
L'aiuto di Grossmann è determinante: questi infatti suggerisce ad Einstein di studiare la geometria differenziale sviluppata dapprima da Riemann e successivamente dagli italiani Ricci-Curbastro e Levi Civita. 
Con i suggerimenti di quest'ultimo, Einstein riesce finalmente a formulare la sua teoria, che  stravolge il concetto stesso di forza gravitazionale: nella visione della relatività generale, infatti, lo spazio non obbedisce alla ordinaria geometria euclidea, quella che vale sulla superficie di un foglio di carta, in cui le distanze sono calcolate mediante il teorema di Pitagora, ma è piuttosto uno spazio quadridimensionale curvo, formato dalle tre dimensioni spaziali più l'asse del tempo. In questo spazio, le masse si muovono non sotto l'azione di forze, ma semplicemente seguendo le linee di curvatura. La curvatura dello spazio, a sua volta, è dovuto alla presenza delle masse stesse, come la curvatura di un tappeto elastico dipende dalle masse che vi si poggiano sopra. 
Come faccia la curvatura dello spazio ad influenzare il moto delle masse è abbastanza facile da formalizzare. Come invece possano le masse produrre la curvatura dello spazio è invece più difficile da immaginare: solamente nel Novembre 1915 Einstein si sente abbastanza sicuro da rendere pubbliche le equazioni del campo.
La teoria appena pubblicata ha già ottenuto un piccolo successo: è in grado infatti di spiegare un fenomeno osservato nell'orbita di Mercurio e fino ad allora rimasto inspiegato dalla teoria newtoniana: la precessione del perielio. Vedremo in dettaglio cosa questo significhi: per il momento ci basti sapere che il fenomeno è previsto con grande precisione dalla relatività generale. 
Un'altro fenomeno previsto, e verificabile con i mezzi a disposizione dell'epoca, è l'incurvamento dei raggi luminosi nel passaggio in prossimità del Sole: il fisico britannico Eddington, entusiasta della teoria, organizza una serie di spedizioni che consentano di fotografare le stelle in prossimità del sole in occasione delle eclissi totali. Le spedizioni compiute da Eddington confermano puntualmente le previsioni della teoria. Nel 1919, quando i risultati sono resi pubblici, Einstein da un giorno all'altro diventa famoso, e la sua immagine comincia a trasformarsi in quella del personaggio che tutti ben conosciamo.

venerdì 29 gennaio 2016

Cento anni di relatività

La teoria della relatività generale compie cento anni: infatti fu proprio nel 1916 che Einstein pubblicò, sulla rivista Annalen der physik il famoso articolo intitolato Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie nel quale, come Minerva dalla testa di Giove, la teoria della relatività nasce già formata e pronta alla verifica sperimentale.
L'articolo è il frutto di un lavoro lungo costato ad Einstein almeno una decina di anni: anni che si intrecciano con la sua affermazione personale, con problemi familiari che portarono ad un divorzio tempestoso, con il vagabondare da una università all'altra.
Ma cominciamo con ordine: nel 1905 Albert Einstein, allora impiegato nell'ufficio brevetti di Berna, pubblica tre articoli destinati a rivoluzionare la fisica negli anni a venire. Il primo articolo dà una spiegazione del cosiddetto moto browniano in termini del moto invisibile e caotico degli atomi. Il secondo articolo dà una spiegazione del cosiddetto “effetto fotoelettrico” e introduce il fotone come quanto di energia elettromagnetica. Il terzo articolo, intitolato Zur Elektrodynamik bewegter Körper (Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento) propone una ambiziosa modifica delle leggi della dinamica newtoniana per renderle compatibili con le equazioni dell'elettromagnetismo di Einstein, sbarazzandosi dell'ingombrante e sterile concetto di “etere”, e modificando per sempre il concetto di spazio e di tempo: si tratta della teoria che negli anni seguenti verrà battezzata “relatività ristretta”. Un quarto articolo, scritto nel 1905 ma pubblicato nel 1906, ne costituisce una appendice, e propone per la prima volta il concetto di equivalenza tra massa ed energia, ovvero la famosa equazione E=mc2.
Gli articoli del 1905 (il cosiddetto “Annus mirabilis” di Einstein), uniti alla tesi di dottorato pubblicata negli stessi mesi, attirano presto l'attenzione della comunità scientifica, e fruttano ad Einstein i primi riconoscimenti, compreso un incarico di insegnamento a Berna nel 1908, seguito presto da una cattedra all'università di Zurigo. Nel 1911 Einstein si trasferisce all'università di Praga, e successivamente, nel 1914, a Berlino: ma la moglie Mileva con i due figli non lo segue, e torna a Zurigo, iniziando una separazione che si concluderà con un divorzio nel 1919.
Negli anni successivi alla pubblicazione del primo articolo sulla teoria della relatività ristretta, Einstein si preoccupa di incorporarvi la teoria della gravitazione universale: se infatti la nuova dinamica relativistica risulta naturalmente compatibile con la teoria elettromagnetica, così non è per la gravità, che presenta il grosso difetto di prevedere una azione a distanza istantanea, diretta e non mediata, incompatibile con la velocità finita delle interazioni prevista dalla relatività ristretta.
L'intuizione che porterà Einstein a generalizzare il suo principio di relatività arriva mentre è seduto in meditazione nella sua stanza dell'ufficio brevetti di Berna: “Se cado” viene da pensare ad Einstein”, durante la caduta non sentirò il mio peso”. A partire da questa semplicissima, quasi banale osservazione, che Einstein chiamerà negli anni successivi “il mio pensiero più felice”, egli riesce con un enorme sforzo di immaginazione a creare una nuova teoria della gravitazione. Ma la sola immaginazione non basta: saranno necessarie la struttura matematica creata dal suo ex professore di geometria Hermann Minkowski e uno studio approfondito della geometria differenziale, allora argomento di punta nella ricerca matematica, per riuscire a formulare le equazioni di campo pubblicate nell'articolo del 1916.
Nei prossimi post approfondirò la teoria della relatività generale ed alcune delle sue conseguenze.